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Inside the Vatican-shaped building, there is a room that signifies the Borgia apartment. Keep going, and you will see that inside the room, there is a collage made by Flavia. Click on the collage, and you will be directed to its Storiiies illustration.
Pellenaee senex, cui forma est histrica, Proteu, Qui modò membra viri fers, modò membra feri. Dic age, quae species ratio te vertit in omnes, Nulla sit ut vario certa figura tibi? Signa vetustatis, primaevi & praefero secli: De quo quisque suo somniat arbitrio.
Donna squalida e bruta; Che di carne di vipera si pasce, Emangia il proprio core, Cui dolgon gliocchi lividi a tutt’hore. Magra, pallida, e asciutta: E dovunque ella va, presso o lontano, Porta dardi spinosi ne la mano, Che nel suo sangue tinge. In questo habito strano, E in tal forma l’invidia si dipinge.
L'infame Mostro; che con nobil arte Dedale chiuse in cieco Labirintho. In ogni impresa il buon popol di Marte Ne le bandiere sue portò dipinto, Per darne a divedere, ch'in chiusa parte, E da silentio d'ogn'intorno cinto Dev'esser di chi regge ogni consiglio. Che inteso, apporta ogn'hor danno, e periglo.
Combining three installations on the city of Rome, this exhibition section highlights three aspects of heritage in the Urbs Aeterna: experiencing heritage – contextualizing heritage – moving heritage
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Power of The Sun
Arrive in the Vatican, where the Hanna Papyrus has been housed since 2007.
Follow the ownership voyage of the Hanna Papyrus, from Dishna in Upper Egypt to the Vatican.
Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com’io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ’l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m’attacco, guardommi, e con le man s’aperse il petto, dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco! vedi come storpiato è Maometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. E tutti li altri che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fuor vivi, e però son fessi così. (Inf. XXVIII 22-36) Un altro, che forata avea la gola e tronco ’l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai ch’una orecchia sola, ristato a riguardar per maraviglia con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, ch’era di fuor d’ogni parte vermiglia, […] (64-69) […] rimembriti di Pier da Medicina […] (73) Allor puose la mano a la mascella d’un suo compagno e la bocca li aperse, gridando: «questi è desso, e non favella». […] Oh quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata ne la strozza Curio, ch’a dir fu così ardito! (91-96; 100-102) E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, levando i moncherin per l’aura fosca, sì che ’l sangue facea la faccia sozza, gridò: “Ricordera’ ti anche del Mosca, che disse, lasso!, ‘Capo ha cosa fatta’, che fu mal seme per la gente tosca". E io li aggiunsi: “E morte di tua schiatta”; per ch’elli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. (103-111) Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia, un busto sanza capo andar sì come andavan li altri de la trista greggia; e ’l capo tronco tenea per le chiome, pesol con mano a guisa di lanterna; e quel mirava noi e dicea: «Oh me!» Di sé facea sé stesso lucerna, ed eran due in uno e uno in due: com’esser può, quei sa che qui governa. (118-126) E perché tu di me novella porti, sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma’ conforti. […] Perch’io parti’ così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso!, dal suo principio ch’è in questo troncone. Così s’osserva in me lo contrappasso. (133-135; 139-142)
[…] però che come su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, così la proda che ’l pozzo circonda torreggiavan di mezza la persona li orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora quando tuona. E io scorgeva già d’alcun la faccia, le spalle e ’l petto e del ventre gran parte, e per le coste giù ambo le braccia. Natura certo, quando lasciò l’arte di sì fatti animali, assai fé bene per tòrre tali essecutori a Marte. E s’ella d’elefanti e di balene non si pente, chi guarda sottilmente, più giusta e più discreta ne la tene; ché dove l’argomento de la mente s’aggiunge al mal volere e a la possa, nessun riparo vi può far la gente. La faccia sua mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a Roma, e a sua proporzione eran l’altre ossa; sì che la ripa, ch’era perizoma dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto di sovra, che di giugnere a la chioma tre Frison s’averien dato mal vanto; però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi dal loco in giù dov’omo affibbia ’l manto. “Raphèl maì amècche zabì almi”, cominciò a gridar la fiera bocca, cui non si convenia più dolci salmi. E ’l duca mio ver’ lui: “Anima sciocca, tienti col corno, e con quel ti disfoga quand’ira o altra passïon ti tocca! Cércati al collo, e troverai la soga che ’l tien legato, o anima confusa, e vedi lui che ’l gran petto ti doga”. Poi disse a me: “Elli stessi s’accusa; questi è Nembrotto per lo cui mal coto pur un linguaggio nel mondo non s’usa. Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; ché così è a lui ciascun linguaggio come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto”. Facemmo adunque più lungo vïaggio, vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro trovammo l’altro assai più fero e maggio. A cigner lui qual che fosse ’l maestro, non so io dir, ma el tenea soccinto dinanzi l’altro e dietro il braccio destro d’una catena che ’l tenea avvinto dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto si ravvolgëa infino al giro quinto. "Questo superbo volle esser esperto di sua potenza contra ’l sommo Giove", disse ’l mio duca, "ond’elli ha cotal merto. Fïalte ha nome, e fece le gran prove quando i giganti fer paura a’ dèi; le braccia ch’el menò, già mai non move”. E io a lui: “S’esser puote, io vorrei che de lo smisurato Brïareo esperïenza avesser li occhi mei”. Ond’ei rispuose: “Tu vedrai Anteo presso di qui che parla ed è disciolto, che ne porrà nel fondo d’ogne reo. Quel che tu vuo’ veder, più là è molto ed è legato e fatto come questo, salvo che più feroce par nel volto”. Non fu tremoto già tanto rubesto, che scotesse una torre così forte, come Fïalte a scuotersi fu presto. Allor temett’io più che mai la morte, e non v’era mestier più che la dotta, s’io non avessi viste le ritorte. Noi procedemmo più avante allotta, e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle, sanza la testa, uscia fuor de la grotta. "O tu che ne la fortunata valle che fece Scipïon di gloria reda, quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle, recasti già mille leon per preda, e che, se fossi stato a l’alta guerra de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda ch’avrebber vinto i figli de la terra: mettine giù, e non ten vegna schifo, dove Cocito la freddura serra. Non ci fare ire a Tizio né a Tifo: questi può dar di quel che qui si brama; però ti china e non torcer lo grifo. Ancor ti può nel mondo render fama, ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama. Così disse ’l maestro; e quelli in fretta le man distese, e prese ’l duca mio, ond’Ercule sentì già grande stretta. Virgilio, quando prender si sentio, disse a me: "Fatti qua, sì ch’io ti prenda"; poi fece sì ch’un fascio era elli e io. Qual pare a riguardar la Carisenda sotto 'l chinato, quando un nuvol vada sovr'essa sì, ched ella incontro penda: tal parve Antëo a me che stava a bada di vederlo chinare, e fu tal ora ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. Ma lievemente al fondo che divora Lucifero con Giuda, ci sposò; né, sì chinato, lì fece dimora, e come albero in nave si levò. Inf. XXXI 40-145
Come quando una grossa nebbia spira, o quando l’emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che ’l vento gira, veder mi parve un tal dificio allotta; poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio, ché non lì era altra grotta. Già era, e con paura il metto in metro, là dove l’ombre tutte eran coperte, e trasparien come festuca in vetro. Altre sono a giacere; altre stanno erte, quella col capo e quella con le piante; altra, com’arco, il volto a’ piè rinverte. Quando noi fummo fatti tanto avante, ch’al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch’ebbe il bel sembiante, d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, “Ecco Dite”, dicendo, “ed ecco il loco ove convien che di fortezza t’armi”. (4-21) Lo ’mperador del doloroso regno da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant’esser dee quel tutto ch’a così fatta parte si confaccia. S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto. Oh quanto parve a me gran maraviglia quand’io vidi tre facce a la sua testa! L’una dinanzi, e quella era vermiglia; l’altr’eran due, che s’aggiugnieno a questa sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, e sé giugnieno al loco de la cresta: e la destra parea tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. Sotto ciascuna uscivan due grand’ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid’io mai cotali. Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: quindi Cocito tutto s’aggelava. Con sei occhi piangëa, e per tre menti gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. Da ogne bocca dirompea co’ denti un peccatore, a guisa di maciulla, sì che tre ne facea così dolenti. A quel dinanzi il mordere era nulla verso ’l graffiar, che talvolta la schiena rimanea de la pelle tutta brulla. “Quell’anima là sù c’ ha maggior pena”, disse ’l maestro, "è Giuda Scarïotto, che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. De li altri due c’ hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; e l’altro è Cassio, che par sì membruto. […] Inf. XXXIV 28-67
Borghesia: Consultata alla voce Borghesia, l'Enciclopedia Italiana mi dice che «il senso etimologico (di borghesia) non dice più nulla del contenuto moderno, attuale della parola»... Ricordarci che «borghese» viene dall'aggettivo burgensis, e questo a sua volta dal sostantivo basso latino burgus nel senso di città, non aiuta a capire il significato dispregiativo che la parola borghese è andata prendendo in reazione allo spirito rivoluzionario di oggi, ma aiuta tuttavia a ricondurci a quel tanto di non dispregiativo che questa parola conserva ancora e farci capire per esempio l'importanza che per la Francia avevano alcuni «grandi borghesi» come i Poincaré o i Berthelot, e per l'Italia ebbero i borghesi di Lombardia, del Piemonte, della Liguria. Il richiamo di borghese a borgo, cioè a dire a città, ci ricorda che il borghese, prima di diventare il pantofolaio amante dei propri comodi e nemico di ogni innovamento è stato il burgensis, ossia il creatore e abitante del borgo, e dunque il fondatore di quel raggruppamento sociale che diede origine alla nazione. Ci insegna soprattutto che il borghese è per antonomasia il cittadino, ci suggerisce l'impossibilità per il non cittadino a diventare borghese, ci spiega il perché dell'analogia tra il disprezzo che oggi si ha per il borghese, e quello che si ha per l'abitante delle città...Non posso dimenticare una vignetta pubblicata nel corso della Grande Guerra da non so più quale giornale francese, nella quale era terribilmente messo in luce questo orrendo sentimento del borghese. Si vedevano due grassi borghesi, marito e moglie seduti a una tavola sulla quale era stato consumato un lauto pranzo, in compagnia di un povero vecchio stravolto dal dolore. E la didascalia diceva per bocca del borghese: «E ora, brav'uomo, che vi abbiamo rifocillato, raccontateci un po' il massacro della vostra famiglia e la rovina della vostra casa». Il disprezzo per il borghese, è il disprezzo per chiunque (anche popolo o nazione) rinuncia a difendersi (o a lavorare) da sé, e commette questi compiti ad altri. L’idea del borghese implica l’idea dell’abitazione inviolabile per legge e provveduta di ogni comodità, l’automobile al portone e il guardiano dell’ordine che passeggia sul marciapiede di fronte e vigila sulla incolumità del borghese. La decadenza del borghese ha seguito qui pure di pari passo la decadenza della città, per meglio dire il borghese «guerriero» ha dimesso le guerriere virtù quando la città ha finito di esistere come campo di battaglia.Per il militare, il borghese è colui che non è militare. Militare durante la Grande Guerra, ricordo il significato dispregiativo che noi mettevamo nella parola «borghese», che indicava coloro «che non sono come noi». In quel significato l'idea del capitalista non entrava, dell'uomo che vive di rendita, che non lavora ma sfrutta il lavoro altrui. Borghese era per noi l'uomo «che non partecipa al dovere dell'ora presente». E c'era l'idea che noi si combatteva «anche pei lui». Con che il «borghese» a nostro intendimento entrava a far parte dei deboli, degl'impotenti, delle donne e dei bambini. Non avevamo ancora scoperto che il borghese, oltre che un debole, è anche un malvagio. Dal concetto che il soldato ha del borghese, si può trarre la definizione forse più giusta del borghese: «Colui che non milita». Che non milita in nessun senso: non milita nel pensiero, non milita nell’azione, non milita nel lavoro. L’immilite uomo. Colui che ha rinunciato all’attività eroica della vita.
Apollo: L'essere nato in una isola galleggiante ha gravemente influito sul carattere di Apollo. Non si tiene il debito conto del suolo sul quale noi viviamo, della superficie sulla quale poggia il nostro corpo, della posizione che essa superficie ci fa prendere, degli effetti che essa posizione ha sulla nostra indole...Apollo è il più fatuo degli dei olimpii, il più vanesio, il meno significante. Gli Apolli abbondano tra noi. Basta guardarsi attorno: uomini di bella prestanza, con occhi a mandorla e aperti come finestre (ossia che non vedono né di dentro né di fuori), larghi di spalle, stretti di vita, bellissimi e di una inutilità perfetta. Naturalmente non posso fare nomi. Gli altri dei esercitano chi delle professioni, chi come Vulcano pratica addirittura un mestiere. Apollo, questo bellimbusto ingombrante e inetto a ogni occupazione seria, fu fatto musagete non sapendosi che altro fare di lui, cioè a dire conduttore delle muse, una carica che qualunque uomo fornito di un minimo di dignità avrebbe rifiutato con sdegno. Apollo oltre a ciò è il fugatore di tenebre, l'apportatore di luce, il sole in persona. Ma chi assicura che la luce è migliore delle tenebre? Al buio io penso meglio.
Adamo: Nome del primo uomo. Per meglio dire, nome di un uomo che non è mai esistito. Ulisse disse a Polifemo che si chiamava Nessuno: poteva dirgli che si chiamava Adamo, e sarebbe stato lo stesso. Tanto meno Adamo è esistito nella forma che gli ha dato Michelangelo: il naso greco, i muscoli allungati, la membratura armoniosa dell'atleta perfetto. Sulla vetta suprema del Principato di Monaco, sorge una edicola adibita a museo di antropologia preistorica. Usque tandem l'inesistito Adamo continuerà a riempire la carica di padre del genere umano? L'uomo è ancora estremamente puerile. Il suo comprendonio ha bisogno di appoggi, di rappresentazioni adeguate alle sue rozze possibilità, di miti distesi in maniera narrativa o figurati in maniera plastica...Adamo, come voce, è in relazione col vocabolo adhâmâh, «suolo», derivato dalla radice 'dm, «essere rosso bruno», ossia del colore della terra argillosa con la quale fu plasmato, dicono, il primo uomo. Nelle pitture delle tombe sotterranee di Tarquinia, i corpi degli uomini sono rossobruni e quelli delle donne bianchi. Una conferma forse della origine fenicia degli Etruschi, dell'esistenza nella loro misteriosa lingua della radice 'dm? Resta a dire che nella tomba «dei Tori», tra gli uomini rossobruni e le donne bianche, ho trovato anche degli uomini rosa... L'uomo, i Turchi lo chiamano adàm. Una notte dell'ottobre 1918, io scoprii nella città di Monastir una donna presso una fontana. Era uscita di nascosto a bere, come lo sciacallo scende nottetempo a dissetarsi al fiume. Era una dolmea, l'ultima meretrice rimasta in quella città devastata dalla guerra, e si nascondeva per sfuggire alle brame dei soldati. La rincorai, la confortai, ed essa, nella parola «adàm! adàm!», che ripeteva come un tragico ritornello, esprimeva tutto l'orrore che le ispirava la genia dei maschi. Pensai che anche nella vecchia più decrepita, anche nella donna costretta a praticare il meretricio, si perpetua la vergine e il suo terrore del maschio spaventoso e predace. Come non giustificare la maggiore simpatia, la maggior fiducia che ispira l'uomo 'rosa'? Quando ama liberamente, la donna turca non chiama il suo uomo adàm, ma aslàn, che significa leone. Si afferra al vello del petto, e ripete con voce d'amore: «aslanùm!», «mio leone!».
attraversare la strada maestra [L. Tolstoj, "Anna Karenina"]
attraversare Dallas [G. Raboni]
attraversare la valle [J.R.R., "Lo Hobbit"]
attraversare il mare [E. Hemingway, "Il vecchio e il mare"]
attraversare il bosco [A. Broggi, "Noi"]
attraversare il fiume 2 [W. Faulkner, Mentre morivo]
Sala Dante
attraverso il fiume [W. Faulkner, "Mentre morivo"]
Il segreto non è correre dietro alle farfalle. E’ curare il giardino, perché esse vengano da te. Mario Quintana
O conchiglia marina, figlia della pietra e del mare biancheggiante, tu meravigli la mente dei fanciulli. Salvatore Quasimodo trad. da Alceo
Inebriante il sonno sul dorso del macigno dove sbocciano i garofani! Matsuo Bashō 夕闇迫る雲の上 いつも一羽で飛んでいる 鷹はきっと悲しかろう 音も途絶えた風の中 空を掴んだその翼 休めることはできなくて 心を何にたとえよう 鷹のようなこの心 心を何にたとえよう 空を舞うよな悲しさを 雨のそぼ降る岩陰に いつも小さく咲いている 花はきっと切なかろう 色も霞んだ雨の中 薄桃色の花びらを 愛でてくれる手もなくて 心を何にたとえよう 花のようなこの心 心を何にたとえよう 雨に打たれる切なさを 人影絶えた野の道を 私とともに歩んでる あなたもきっと寂しかろう 虫の囁く草原を ともに道行く人だけど 絶えて物言うこともなく 心を何にたとえよう 一人道行くこの心 心を何にたとえよう 一人ぼっちの寂しさを
When you have never been to a place, your brain still builds a ‘map’ – it has no connection to the physical world and consists of images from media.
https://en.wikipedia.org/wiki/Micha%C3%ABl_Dudok_de_Wit